Questa notte ho sognato di essere in Birmania. Con me c’erano molti miei amici e altri ragazzi di tutto il mondo: inglesi, tedeschi, americani, cinesi, indiani e, ovviamente, birmani. Eravamo in una specie di palazzo/magazzino, con molte stanze, gridavamo slogan contro la dittatura militare e discutevamo della orribile situazione del Paese e dell’indifferenza degli occidentali.
Ad un certo punto, girando quà e la in cerca di alcuni amici, ho cominciato a veder comparire i primi soldati, con le loro obbedienti mitragliette a tracolla. Erano caschi blu ONU, io mi sono sentito sollevato: avevamo una protezione, qualcuno ci aveva ascoltato. Al contempo ero però anche teso, perché sapevo che portare un’arma significa essere pronti ad usarla.
In pochi minuti ho trovato gli amici che cercavo: camminavano in direzione opposta alla mia e si tenevano per mano o si abbracciavano, formando una sorta di biscione umano. Erano scortati da alcuni militari, che a dire il vero erano pochi, tre o quattro, ma questa volta non erano caschi blu, era l’esercito birmano.
Mi sono nascosto, lasciandoli sfilare davanti a me, e li ho seguiti a distanza, compiendo a ritroso tutto il percorso fatto per trovarli. Guardandomi intorno, vedevo sempre meno soldati ONU e sempre più militari birmani. Poi hanno cominciato a sparare.
Noi ragazzi occupavamo le sale dell’edificio in maniera disordinata, tutti si spostavano in continuazione in cerca di informazioni su quello che stava succedendo, sembravamo un formicaio in piena attività, regnava la confusione. La prima raffica non è stata preceduta da alcun avvertimento. Hanno sparato e basta, io ho visto i ragazzi alla mia sinistra gridare e cadere a terra, chi tenendosi l’addome, chi la faccia. Mi sono subito riparato dietro un largo palo di ferro. Ho sentito altre raffiche alla mia destra, poi il palo davanti a me ha preso a sussultare investito da una scarica. Ho visto che in alcuni punti le pallottole lo avevano attraversato, e ho cercato di guardarmi i vestiti per vedere se erano macchiati di sangue. Sembrava di no. Prima che riusciss ad accertarlo, altre raffiche di mitra hanno investito il palo, io mi sono assottigliato il più possibile per non essere colpito.
Un ufficiale ha gridato qualcosa in una lingua sconosciuta, i soldati hanno smesso di sparare e sono venuti a prendere i superstiti. Ci hanno ammassati e portati fuori dalla stanza, il pavimento ricoperto di cadaveri di giovani pacifisti di tutti i Paesi e di tutte le lingue. Prima di svegliarmi, ho fatto in tempo a chiedere al ragazzo di fianco a me: “What will they do with us?”. “They’ll kill everyone of us. If you’re buddhist you’re lucky, you’ll come back to Earth in your next life.” In quel momento ci ho pensato: io non credo all’aldilà, è stato bello finché è durato, tutte le mie fatiche, le notti sui libri, le innumerevoli cose che ancora avrei voluto imparare, sarebbero state fucilate con me, qualche minuto più tardi.
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